Quando si parla di ciuccio, ognuno ha la propria teoria. Come sapete, io sono sempre per la giusta via di mezzo, e tra l’altro penso che ogni cosa debba essere una libera scelta dei genitori, anche quella del ciuccio.
Io non ero assolutamente contraria: piuttosto che farli stare attaccati al seno h 24 (tendenza soprattutto della mia primogenita) o piuttosto che pensare che, non dando il ciuccio, si sarebbero consolati con il dito, ho preferito proporlo fino a quando non lo hanno accettato. Ne ho provati mille, prima di capire i loro gusti, e vi invito a leggere il mio post su come scegliere il ciuccio giusto.
Poi mi sono sempre chiesta: come farò a toglierlo? Anche la seconda volta, come per il pannolino, far disabituare mio figlio all’uso del ciuccio mi sembrava una mission impossible.
Ci sono tanti consigli: toglierlo improvvisamente, tagliarlo, dire che è andato perso, partire per le vacanze e approfittarne per lasciarlo a casa. Tuttavia, io da sempre mi relaziono ai miei figli diversamente, non so se nel modo corretto o no, ma mi sento molto pià serena nella mia modalità.
Entrambe le volte ho usato la stessa tecnica, con reazioni molto diverse. L’obiettivo era quello di toglierlo entro i 3 anni, senza che si ciucciassero altro, per consolazione.
Elena era meno attaccata rispetto a Tommaso, ma in entrambi i casi ho iniziato, lentamente, a limitarne l’uso, fino ad arrivare alla situazione in cui fosse legato solo al momento di riposo notturno. Ho iniziato la procedura intorno ai due anni, con Elena, e ai due e mezzo con Tommaso.
Poi ho parlato loro. Ho spiegato che il ciuccio è per i bambini piccoli, che quando si diventa grandi, purtroppo, fa male ai dentini e bisogna salutarlo. Con Elena iniziai a settembre, aveva già due anni e mezzo, e le dissi che se per Natale avessimo messo tutti i ciucci in una scatoletta, Babbo Natale li avrebbe portati ai bambini poveri e a lei avrebbe lasciato un regalo in più. Ne abbiamo parlato tanto, le ho spiegato che doveva pian piano abituarsi all’idea che il ciuccio andava salutato, e lei è stata collaborativa da subito. I primi di dicembre prese tutti i suoi ciucci, e mi disse, con mio grande stupore: “Possiamo già metterli nella scatolina, non ne ho più bisogno”.
Tommaso era molto più attaccato, e non parla bene come parlava Elena. Sembra sempre che sia distratto, che pensi solo a giocare, ma mi sono comunque sforzata di trattarlo come avevo trattato la sorella. Ho iniziato a dire anche a lui che i bambini grandi non lo portano, che fa male ai dentini.
Al contrario della sorella, inizialmente non è stato collaborativo per niente, diceva “no no, il ciuccio è mio”. Ho avuto pazienza e gliel’ho spiegato tante volte, gli ho spiegato l’importanza di avere dentini sani, con parole semplici, ma vere. Non avrei mai pensato, mai, che funzionasse. Come la sorella, un giorno, ha deciso: semplicemente, non lo ha più chiesto.
La sensazione è come se il ciuccio fosse “caduto da solo”, in modo naturale. Ma io so che, anche se non lo ha comunicato come fece la sorella (la differenza, atavica e profonda, tra un uomo e una donna? carattere?), è stata una sua scelta, una sua crescita.
Che dire? Che la comunicazione, chiara, semplice, precisa, sia alla base di tutto?
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