Cosa significa essere mamma biologica e mamma adottiva? Quali sono le emozioni, le paure che una mamma deve affrontare?
Lo chiediamo a Maria, owner del blog Scaffale basso
Ciao Maria, puoi presentarti ai nostri lettori?
Ciao mi chiamo Maria, ho 34 anni, sono sposata e ho due figli. Lavoro in università e mi occupo di lingua italiana, ma da cinque anni impegno il mio tempo con sempre maggior dedizione allo studio e alla promozione della letteratura per l’infanzia, a partire dal mio blog. Mi trovo in quella fase (classica!) in cui si vorrebbe capire quale forma gli interessi e le fatiche di studio e lavoro possano prendere stabile, tenendo conto di tutto quello che la mia vita ora è.
Sei mamma?
Come ho detto sì, e felicemente . Nonostante ci fossero poche speranze, dopo un anno di matrimonio abbiamo scoperto di aspettare il nostro primogenito che è arrivato come un turbine e come un turbine ci ha travolto. Da pochi mesi sono diventata mamma anche di uno splendido bimbetto cinese che abbiamo adottato e che è tornato in Italia con noi il giorno della Vigilia di Natale, dopo quasi un mese di permanenza insieme in Cina.
Cosa vi ha spinto ad adottare un secondo bimbo quando ne avevate già uno vostro?
Io e mio marito desideravamo da sempre una famiglia numerosa, così dopo 5 anni di matrimonio e due gravidanze finite molto prematuramente abbiamo iniziato ad informarci sull’adozione: ci chiedevamo se la nostra strada potesse essere quella.
Cosa bisogna aspettarsi, dal punto di vista pratico e burocratico, se si decide di adottare?
L’iter italiano riguardante l’adozione è molto complesso e soprattutto, quando ci si avvicina a questo mondo, non ne si sa nulla. Principalmente i binari sono due (adozione nazionale e internazionale) e prevedono approfondimenti differenti, ma di norma si imboccano entrambi per avere più possibilità. Le carte da preparare per l’adozione internazionale sono molte – anche se poi molto dipende dal Paese di destinazione – e la difficoltà principale sta nel fatto che bisogna far comunicare due burocrazie differenti senza che queste siano abituate a comunicare. Il mondo delle famiglie adottive non è molto considerato nella società d’oggi e le istituzioni italiane tutelano e sostengono pochissimo i genitori che sono lasciati a loro stessi e al buon cuore del burocrate che si trovano davanti. Vi faccio un esempio: noi avevamo bisogno di produrre un documento che attestasse che “non avevamo alcuna intenzione di abbandonare nostro figlio” ed era necessaria la firma di un impiegato comunale che fungesse da testimone. Nessun impiegato comunale può firmare un documento di questo tipo in Italia: come si fa? Noi abbiamo girato 4 comuni, finché un uomo caritatevole si è preso il rischio e l’ha firmato. Lo Stato cinese lo richiede, lo Stato italiano non lo prevede: in mezzo i genitori che in qualche modo se la devono cavare.
E cosa bisogna aspettarsi dal punto di vista emotivo?
L’aspetto emotivo è certamente quello messo più alla prova. I primi passi dell’attivarsi della macchina adottiva prevedono infatti mesi di colloqui con assistenti sociali e psicologi che culminano in un incontro con un giudice del tribunale di riferimento. Una serie infinita di estranei sarà autorizzata ad indagare ogni aspetto più minuto della vostra vita, della relazione con vostro marito e i vostri cari, della vostra capacità genitoriale (nel mio caso). Sarete obbligati a pensare a cose a cui non avete mai pensato e percorrerete la vertiginosa strada di chi deve collaborare e accettare qualsiasi critica, pena abbandonare il percorso adottivo. Io ho pianto innumerevoli volte e frequentemente mi sono sentita trattata ingiustamente, tuttavia ciò che ha sempre retto è stato il rapporto con mio marito, senza il quale mi sarei fermata al secondo “interrogatorio”. Questa fila di fuoco è però cruciale e definisce esattamente la base su cui si fonda l’adozione: non si sta assecondando il desiderio (che pur è sacrosanto) di una coppia, ma si sta cercando una famiglia ad un bambino. È il bambino che deve essere tutelato, quindi il profilo dei genitori, deve essere quanto più preciso possibile.
Si può dunque contestare la poca umanità di alcuni operatori, ma la tenacia che si è obbligati a trovare in se stessi torna poi utile quando si accoglie finalmente il figlio.
Che consigli daresti ad una coppia che decide di intraprendere questo percorso?
Ciò che io ho capito, nel mio percorso, è che la coppia deve essere unanime nella decisione e molto unita. Prima di incominciare anche solo a pensare all’adozione è bene frequentare qualche corso introduttivo (ne esistono diversi offerti sia dagli enti che lavorano per le adozioni che da associazioni familiari ed enti pubblici). Questo perché l’idea che si ha dell’adozione, prima di far parte di questo mondo, è molto confusa e approssimativa e il rischio è di partire impreparati e lanciarsi in un percorso doloroso che non è detto sia fatto per tutti.
Ad esempio sapete che uno degli argomenti più importanti di cui sviscererete ogni centimetro è l’elaborazione del lutto della vostra “sterilità”? E sapete che la situazione odierna delle adozioni internazionali prevede che la quasi totalità di bambini adottivi siano affetti da patologie più o meno gravi? Sapete che adottare significa aspettare spesso anni?
Qual è l’aspetto che ti ha fatto fare più fatica?
L’attesa. Quella adottiva è un’attesa “ignorante” che pretende che si aspetti qualcosa che non ha volto e lo si aspetti per un tempo indefinito. Non c’è una pancia che cresce, delle misure che mese dopo mese cambiano e una faccia che progressivamente prende forma, non c’è una data prevista del parto per cui si sa che, bene o male, solo 9 mesi passeranno. Dopo mesi per ottenere i documenti per l’idoneità (ovvero l’ok per poter adottare), mesi per il reperimento dei documenti per il Paese di destinazione (nel caso di adozione internazionale), si passa ad attendere e ad attendere e ad attendere che un giorno una telefonata che ti dica che hanno trovato tuo figlio. Da quel momento inizierà l’ulteriore attesa del viaggio o dei viaggi che, si spera nel giro di un anno, porteranno a casa vostro figlio.
Come cambia la famiglia quando arriva un bimbo adottato? Quali difficoltà si incontrano?
Credo che le difficoltà siano legate all’arrivo di un bambino a casa: Un nuovo bambino in famiglia determina sempre un cambio di equilibri. Ogni bambino stravolge la vita di chi lo accoglie, le abitudini, gli equilibri di coppia e familiari. Nel mio caso, e nel caso della quasi totalità di adozioni internazionali che sono considerate “special needs”, bisogna anche mettere in conto anche una lunga trafila di accertamenti medici e di impostazioni delle terapie legate alla patologia di arrivo. Noi abbiamo adottato un bimbo piccolo (2 anni), un grande passo si concretizzerà tra un po’, quando affronterà (e realizzerà) la grande questione del suo abbandono. Un evento emotivo che sicuramente ci coinvolgerà tutta la famiglia.
Tu che hai provato entrambe le gioie, cioè diventare mamma biologica e diventare mamma adottiva, puoi parlarci delle differenze?
Credo che le differenze stiano nel fatto che sono figli differenti e lo sarebbero stati anche se li avessi partoriti entrambi. Certo mi stupisce che un bambino con gli occhi a mandorla mi chiami “mamma”, ma mi stupivo che mi chiamasse così anche il biondino con il mio taglio di occhi: che commozione! Abbiamo aspettato quasi 7 anni (di cui 2 e mezzo nell’iter adottivo) il nostro secondogenito, ma anche l’anno di attesa del primogenito ci ha provato. Guardando il nostro 2enne che zampetta in giro per casa, capisco che avrei voluto custodirlo nel mio grembo e avrei voluto vedere il suo faccino appena nato, ma capisco che i figli non ci appartengono, che ognuno ha il suo destino e che noi genitori siamo chiamati ad accompagnarli per un tratto della loro strada: l’adozione su questo non lascia scampo e mi aiuta molto anche a guardare il mio primogenito.
L’adozione non è un’avventura per tutti, ma è una grande avventura.
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