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Generazione X: apologia dei genitori.

Obiettivo di queste righe è una mission impossible, la difesa (difficile) dei genitori della cosiddetta Generazione X (dal titolo di un romanzo di Douglas Coupland, uscito nel 1991 che così etichetta i nati tra il 1965 e il 1980). Una missione, dicevo, veramente impossibile se da un lato guardiamo alle truci notizie di cronaca nera e dall’altro prestiamo orecchio ai continui attacchi che vengono da stimati psicologi, sociologi, dal mondo culturale, dai boomer (i nati negli anni del boom economico) e dai tanti laudatores temporis acti che celebrano la grandezza dei modelli educativi dei loro tempi. La domanda a questo punto è legittima: la nostra genitorialità è veramente da buttare oppure è possibile una difesa che metta in evidenza le tante difficoltà del nostro essere genitori oggi? La mia è un’apologia a tutto campo, senza se e senza ma, anche perché sono emotivamente coinvolta.

Iniziamo con il primo punto: essere genitori oggi a 45-60 anni è difficile, oggettivamente molto difficile, perché alla genitorialità si è arrivati tardi, non prima dei 30 anni nei casi migliori, tra i 36 e i 42 nella maggior parte dei casi. A 50 anni i nostri genitori avevano figli maggiorenni e i loro genitori erano già nonni. Ciò significa che la prima gravidanza nell’arco di due generazioni si è spostata avanti di venti anni. Ci si ritrova così madri e padri, in età matura, mentre si è oberati dalle responsabilità sul lavoro, con una rete sociale avviata che si vuole mantenere, con genitori sempre più anziani da gestire. Per non parlare del fisico che cambia, di una stanchezza mentale sempre più fisiologica, di cambiamenti ormonali sottovalutati che impattano sul benessere psicofisico. E’ evidente che quella che si dà a 45-60 anni è una risposta alla vita diversa rispetto a quella di 20-30 e, in questo momento delicato, ci si trova a dover fare i conti con i figli che si affacciano all’adolescenza, con tutte le problematiche del caso, accresciute dal  conflitto generazionale.

Ed eccoci al secondo punto dolente: ogni epoca ha visto il conflitto genitori-figli, ma mai quanto quello che vive la Generazione X. La verità è che facciamo da cerniera in un passaggio epocale, un cambiamento talmente importante da poter essere avvicinato alle grandi trasformazioni che hanno segnato il cammino umano, come la scoperta del fuoco o della scrittura. La tecnologia super avanzata e performante che domina il nostro quotidiano in ogni campo ci obbliga, infatti, a parlare di un prima e di un dopo. E la nostra generazione è l’unica che si pone a cavallo di questo cambiamento: nata prima di internet e con figli che si trovano nel post, architrave di una transizione, arbitro del tutto inconsapevole di un passaggio delicatissimo e violento. Occorre dirlo a chiare lettere: ‘i miei tempi’, ‘quando ero giovane io’  non sono i tempi dei nostri figli e se questo è vero per tutte le generazioni, lo è ancora di più nel momento in cui il gap tra le due parti è diventato un solco profondo, una voragine storica. Non si possono giudicare uguali due realtà oggettivamente diverse e chi pone il confronto tra i bambini degli anni ’60 , ’70 e ’80 con quelli di oggi lo fa in malafede. Ognuno è figlio del suo tempo e proiettare i ragazzi in una dimensione altra, magari in un’epoca pretecnologica rassicurante, significa non voler vedere il cambiamento dei tempi, significa non volere trovare soluzioni che si applichino alla realtà, per difficile che possa essere, soluzioni che non possono essere demandate alla sola competenza genitoriale. 

E veniamo quindi al terzo punto di questa apologia: che cosa fa la società per sostenere il difficile compito dei genitori? Quali modelli offre che possano supportare le scelte educative? Noi, genitori della generazione X, se guardiamo alla nostra infanzia e adolescenza, non troviamo soluzioni applicabili al presente: giocavamo all’aria aperta, andavamo in bicicletta, rincasavamo tardi, avevamo un gruppo di amici nella cerchia familiare, molti cugini, fratelli; vivevamo spesso nei paesi e anche la città offriva strade tranquille, spazi in cui giocare, un traffico decente, ambienti dove ritrovarsi. Oggi il mondo è cambiato: le città e i paesi non sono più luoghi sicuri.  La famiglia è spesso mononucleare, della cerchia di amici pochissimi hanno figli, il lavoro impegna entrambi i genitori, i nonni (quando ci sono) sono spesso lontani o hanno le loro esigenze, la babysitter è possibile solo a ore. E chi bada alla prole  mentre si lavora, magari fino alle sei di pomeriggio, tra turni massacranti, stipendi da fame e diritti sempre più aleatori? La società offre soluzioni condivise? Luoghi protetti in cui lasciare i ragazzi senza spendere una fortuna, servizi sociali di accoglienza, bonus babysitter che coprano le spese totali? Nulla di nulla. Una donna a 36-40 anni dovrebbe lasciare  tutto quello che ha costruito negli anni, aspirando alla libertà economica e ad un minimo di carriera, per fare la badante dei figli e abbandonare i sogni di gloria. E’ questa la valorizzazione della donna? E qui l’ultima critica, la più feroce: e allora i figli non si fanno!

 E’ il punto quarto della nostra apologia. La nostra società non spinge a valorizzare i sacrifici della genitorialità perché propone modelli vincenti di persone che fanno scelte totalmente opposte: viaggi in posti esotici, cene, aperitivi e festeggiamenti notturni, carriere splendide. I social promuovono modelli di vita assolutamente egoreferenziali, che esaltano la gestione indipendente e libera della propria vita, la ricchezza facile, ottenuta senza sacrificio. Chi è single è facilitato sul lavoro perché può tuffarsi in avventure che da padre/madre di famiglia non possono neanche essere prese in considerazione. Per non parlare del costo che un solo figlio può rappresentare. I gruppi di amici con bambini diventano rari. Manca un contesto socio-familiare che crei quel collante e quell’ambiente di crescita protetto per i più giovani in cui anche i genitori possano rilassarsi in compagnia. Si è condannati ad essere genitori da soli, senza aiuti, né morali, né economici, senza sensibilità sociale, confrontandosi con le proprie paure, le poche certezze, le grandi incognite del futuro.

E allora, in conclusione, al di là delle critiche, credo sia necessario un grande ringraziamento per la Generazione X che nonostante tutte le difficoltà, nonostante tutte le incertezze, nonostante le abissali differenze generazionali, tenta con amore e dedizione il mestiere più difficile del mondo, quello di genitori, spesso sbagliando, spesso lacerandosi nel dubbio, ma con un unico obiettivo, difficilissimo, quello di rendere i propri figli adulti consapevoli. Nell’interesse di tutti.

Flavia Carderi

Flavia Carderi, di Roma e attualmente residente a New York, unisce la passione per l'insegnamento all'attività letteraria, mantenendo uno sguardo attento e appassionato sulla vita e sul mondo.

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