Per verificare che lo sviluppo del feto non sia compromesso da complicanze o da eventuali anomalie, esiste una serie di esami speciali, i cui esiti sono fondamentali per il decorso della gestazione; da un lato, infatti, possono confermare che il feto non presenta alcuna malattia o difetto genetico ma possono anche rivelare la presenza di gravi anomalie che inducono i genitori a dover scegliere la triste possibilità di interrompere la gravidanza.

 

La maggior parte dei bambini nasce sana ma in alcuni casi eventuali anomalie hanno origine durante lo sviluppo fetale e sono da attribuire a difetti genetici ereditari, problemi congeniti, esposizione della madre a sostanze tossiche o a cause ancora sconosciute.

A tutte le donne potrebbe capitare di partorire un bambino affetto da un’anomalia ma esistono diversi fattori che sono in grado di aumentare tale rischio:

          Precedenti gravidanze in cui il feto presentava anomalie

          Anamnesi familiare in cui risultano difetti genetici

          Età materna superiore ai 35 anni

          Assunzione da parte della madre di sostane teratogene dannose per il feto

          Malattie pregresse della madre tra cui epilessia e diabete

Oggi quasi tutti i reparti di maternità dispongono di  esami specifici per il rilevamento di eventuali anomalie fetali.

Tali test non evidenziano con certezza la presenza del problema ma ne rilevano la probabilità di insorgenza: nel caso in cui quest’ultima risultasse elevata verrà consigliata alla madre la possibilità di sottoporsi ad una serie di esami più approfonditi in grado di confermare o escludere il sospetto iniziale.

Lo screening del primo trimestre presenta notevoli costi economici in quanto richiede solitamente consulenze genetiche e l’esecuzione di ecografie al fine di individuare e scongiurare eventuali anomalie.

Questi esami si suddividono in due gruppi: test di screening e test diagnostici.

I test di screening vengono eseguiti all’inizio della gravidanza e individuano la maggior parte delle anomalie che rischiano portare seri problemi sia al nascituro che alla madre.

Spesso, pur non diagnosticando perfettamente la malattia, sono in grado di stabilire una percentuale di rischio in base alla quale la gestante può decidere se sottoporsi o meno ad indagini più approfondite.

I test di screening sono composti da una serie di esami sierologici ed ecografici  primo fra tutti il test specialistico detto translucenza nucale.

Per ogni tipo di test è necessario considerare il tasso di individuazione e il tasso di falsi positivi: quando, infatti, l’esito di un test è un falso positivo significa che il test inizialmente positivo si è rivelato in seguito negativo.

In presenza di un test positivo, il ginecologo è indotto a prescrivere un test invasivo per avere la conferma della diagnosi.

Le indagini diagnostiche forniscono una risposta definitiva sull’eventuale anomalia del feto sospettata con gli screening iniziali ma si tratta di test invasivi che solitamente non vengono eseguiti di routine dal momento che richiedono prelievi di campioni di liquido amniotico, di placenta o sangue fetale dall’utero e sono procedure che comportano un piccolo ma significativo rischio di aborto spontaneo.

Gli unici esami atti a scongiurare o confermare il sospetto della sindrome di Down sono la villocentesi, l’amniocentesi e la cordocentesi.

La decisione ultima di sottoporsi ad uno di questi test invasivi spetta ai genitori del bambino tenendo conto delle proprie convinzioni etiche.

Il tasso di individuazione della sindrome di Down è triplicato negli ultimi venti anni in quanto gli scienziati hanno messo tutto il loro impegno nella messa a punto di uno screening altamente efficace da effettuare nel primo trimestre di gravidanza.

Il problema principale dello screening prenatale è l’individuazione della presenza di eventuali anomalie tenendo sempre più bassa la percentuale dei falsi positivi.

Tenendo presente l’età della gestante superiore ai 35 anni, gli ambulatori prenatali offrono a queste donne la possibilità di eseguire l’amniocentesi in quanto all’aumentare dell’età materna aumenta anche la percentuale di rischio di anomalie fetali.

Se in una donna si considerano fattori come l’età, i risultati dei test sierologici, il referto di una Translucenza nucale eseguita tra l’undicesima e la quattordicesima settimana di gravidanza e i livelli di B-hcg e di PAPP-A, il tasso di attendibilità rispetto alle anomalie fetali raggiunge l’85% .

Un ulteriore screening è rappresentato dal Test integrato che presenta elevati tassi di individuazione (85%) e soltanto un tasso dell’ 1% di falsi positivi.

Tutto questo significa che oggi è possibile individuare quasi 9 bambini su 10 affetti dalla sindrome di Down e soltanto una donna su 100 verrà erroneamente classificata a rischio e quindi sottoposta inutilmente ad ulteriori esami invasivi.

TRANSLUCENZA NUCALE (screening)

Questo test è stato introdotto negli anni Novanta a Londra ed è stato in grado di portare una grande innovazione in grado di abbreviare i tempi di individuazione della sindrome di Down in gravidanza.

L’ecografia viene eseguita tra la undicesima e la quattordicesima settimana di gravidanza e si basa sulla misurazione ecografica dello spessore dell’accumulo del liquido sottocutaneo in corrispondenza della nuca del feto.

Tale esame,  infatti, misura la distanza tra i muscoli paravertebrali e la cute nella regione posteriore del collo del feto; questa distanza aumenta proporzionalmente al rischio della sindrome di Down, pertanto , se nella zona esaminata viene riscontrata un’ombra di forma e dimensioni particolari causata da un edema sottocutaneo il rischio di anomalie cromosomiche risulta molto elevato.

In Italia questo screening non viene effettuato a tutte le donne ma è largamente consigliato anche se la prestazione è soggetta al pagamento del ticket.

Recentemente sono stati scoperti nuovi marcatori morfologici per la sindrome di Down, infatti, si è scoperto che i feti colpiti da questa malattia spesso mancano dell’osso nasale, hanno la lingua protudente, una sola plica palmare e un’anomala circolazione sanguigna.

Esaminando il profilo fetale durante la translucenza risulta possibile individuare la presenza della malattia con una precisione del  95% e un tasso di falsi positivi pari all’1%.

Nel caso in cui i risultati di questo screening risultassero alterati e vi sia quindi il sospetto di anomalie cromosomiche, si procederà con l’effettuazione dell’amniocentesi oppure con l’esame dei villi coriali per confermare l’eventuale diagnosi.

TEST DI SCREENING SIEROLOGICI

Gli screening sierologici al momento disponibili, misurano i livelli di due, tre o più sostanze nel sangue per prevedere il rischio che il bambino sia affetto dalla sindrome di Down, da alcune malattie cromosomiche o da difetti del tubo neurale aperto come ad esempio la spina bifida.

Questi test offrono una probabilità ma non forniscono una risposta definitiva sulle eventuali anomalie del feto.

Questi test solitamente vengono eseguiti alla 15/16 settimana di gestazione presso l’ospedale o un laboratorio di analisi.

I test in questione sono il doppio test (bitest) detto anche test dell’alfa-fetoproteina ed il tritest detto anche triplo test di Bart.

          Bitest

E’ un esame  del sangue materno.

Il livello di glicoproteina (alfa-fetoproteina) presente nel sangue materno oscilla nel corso di tutta la gravidanza ma tra la sedicesima e la diciottesima settimana i livelli sono decisamente bassi; se, controllati, questi dovessero risultare di due o tre punti superiori  alla norma, il feto potrebbe presentare problemi neurologici come la spina bifida o l’idrocefalia.

Per poter rilevare anomalie di questo tipo è comunque necessaria una successiva ecografia.

Se i livelli di alfafetoproteina dovessero risultare particolarmente bassi  si profila il rischio che il bambino sia affetto dalla sindrome di Down; in questo caso si procede all’effettuazione della translucenza nucale o con un’amniocentesi.

          Tritest

Si tratta di un esame del sangue materno che si effettua in genere tra la 14 e la 20 settimana per valutare la concentrazione di tre sostanze prodotte dal feto: estrogeno, gonadotropina corionica umana (B- hcg) e alfa-fetoproteina.

Secondo i valori rilevati, in relazione alla settimana di gravidanza e all’età della donna, si calcola la percentuale di rischio di anomalie cromosomiche.

Se le probabilità risultano elevate, si procede con l’effettuazione dell’amniocentesi.

Il tritest non è obbligatorio e per questo motivo è necessaria la richiesta del ginecologo.

          Test integrato o OSCAR

Il progresso più recente nello screening  prenatale è stata la messa a punto di questo nuovo tipo di test detto OSCAR che si esegue in un ambulatorio specialistico alla dodicesima settimana di gestazione.

La prima parte del test prevede la misurazione della translucenza nucale ed un prelievo di sangue materno necessario per la determinazione dei livelli di B-hcg libera e Papp-A.

I risultati vengono rilevati dopo un’ora circa e sono associati all’età della madre e all’anamnesi pregressa di gravidanze risultate affette da anomalie per fornire una valutazione computerizzata immediata del rischio.

Se il rischio risulta elevato si può optare per una villocentesi immediata e avere un risultato provvisorio dopo 24/48 ore.