Questo tipo di esame è detto anche “analisi dei villi coriali”.
I villi coriali sono alcune sporgenze simili a dita poste sulla sommità del corion (membrana più esterna dell’uovo fecondato) e sono geneticamente identici al feto.
Si sviluppano prima del liquido amniotico e questo fa si che la loro analisi possa fornire informazioni preziose sul corredo genetico e l’assetto cromosomico del bambino (cariotipo) con largo anticipo rispetto all’amniocentesi.
La villocentesi è un test diagnostico prenatale invasivo che solitamente viene eseguito tra l’11 e la 13 settimana di gravidanza ma può essere prescritto anche successivamente qualora se ne presentassero particolari esigenze.
L’esecuzione di questo test diagnostico comporta il prelievo di un piccolo campione di tessuti della placenta permettendo lo svolgimento di una biopsia del materiale prelevato.
Dal momento che il feto e la placenta hanno origine dalle stesse cellule, i cromosomi delle cellule placentari sono identici a quelli del bambino.
Ad oggi la maggior parte delle donne che si sottopone a questo esame lo fa per escludere la possibilità di concepire un bambino affetto dalla sindrome di Down.
Effettivamente la villocentesi è l’esame decisivo per trovare eventualmente riscontro di tali sospetti ma risulta essere utile per il rilevamento di un’eventuale presenza di anomalie nell’emoglobina come l’anemia falciforme o la talassemia.
I disturbi congeniti del metabolismo fortunatamente sono molto rari ma, presentandosi un’anamnesi familiare con casi precedenti, l’incidenza potrebbe risultare molto alta con una probabilità che si verifichi un membro malato su quattro.
Dal momento che questi disturbi sono dovuti principalmente alla carenza di un enzima, l’esame enzimatico effettuato su un campione di tessuto corionico fornirà una diagnosi sicura in un tempo massimo di due giorni.
Tale test consente di rilevare anche la presenza di malattie genetiche come la fibrosi cistica, l’emofilia, la corea di Huntington e la distrofia muscolare.
Tramite la villocentesi è possibile anche determinare con assoluta certezza l’identità del genitore biologico; è utilizzata in casi di controversie legali e patrimoniali e, più raramente, in soggetti sottoposti a fecondazione in vitro laddove si manifesti il sospetto di un possibile scambio di embrioni o di errori nella fase di impianto dello zigote.
Lo svolgimento di questo esame viene consigliato alle gestanti considerate ad elevato rischio cromosomico:
– Donne con un’età superiore ai 35 anni
– Casi precedenti di gravidanze con figli affetti da anomalie cromosomiche
– Genitori portatori di anomalie cromosomiche quali ad esempio traslocazioni, inversioni o aneuploidie.
– Anomalie significative rilevate nell’esecuzione della translucenza nucale.
Il prelievo dei villi coriali si effettua sotto guida ecografica generalmente prima della dodicesima settimana in modo che il sacco amniotico non abbia ancora completamente riempito la cavità uterina.
Il prelievo può essere effettuato attraverso l’addome oppure attraverso la vagina; nel primo caso la procedura è molto simile a quella dell’amniocentesi mentre, nel caso dell’approccio vaginale, si introduce un catetere attraverso il canale cervicale che dopo aver superato la cavità uterina e aver raggiunto l’estremità esterna della placenta consente di prelevare una piccola quantità di tessuto coriale.
Attualmente la procedura per via vaginale è stata quasi del tutto soppiantata da quella per via transaddominale in quanto è ritenuta molto più sicura per l’incolumità di madre e bambino.
Prima di sottoporre la gestante a questo tipo di test è necessario che la stessa abbia già eseguito alcuni esami: gruppo sanguigno e fattore Rh di entrambi i genitori (in caso di presenza di fattori del sangue diversi tra i genitori si esegue un test di Coombs e, dopo aver eseguito il prelievo, viene somministrata alla gestante una profilassi anti D), screening per l’epatite B e C, test per l’ HIV (non obbligatorio).
Alcuni medici consigliano di effettuare una terapia antibiotica nei tre giorni che precedono l’esame per scongiurare il sopraggiungere di infezioni.
Prima di effettuare una villocentesi, il medico esegue un’ ecografia per individuare l’esatta posizione della placenta.
Si procede, quindi, ad iniettare nella parete addominale della madre un anestetico allo scopo di desensibilizzare la zona prima di introdurre il doppio ago all’interno dell’utero nel punto esatto che possa consentire di avere un accesso sicuro ai villi coriali.
Un campione di villi coriali viene aspirato dalla siringa all’altra estremità dell’ago; in questa siringa è già contenuto un apposito liquido di coltura o di soluzione fisiologica sterile.
Tutta la procedura viene seguita direttamente sullo schermo ecografico in tempo reale.
Dopo la procedura di aspirazione l’ago viene rimosso e il materiale contenuto nella siringa viene rapidamente esaminato; qualche giorno di coltura, in genere 48/72 ore, sono sufficienti per fornire i risultati definitivi ed attendibili del test.
Per quanto riguarda i rischi legati allo svolgimento del test, il rischio di aborto dopo lo svolgimento di una villocentesi è leggermente superiore a quello dell’amniocentesi e colpisce circa l’1% delle donne che si sono sottoposte a tale procedura.
Questa pericolosità probabilmente deriva dal fatto che viene eseguito nelle prime settimane di gravidanza quando il rischio di aborto è comunque maggiore.
E’ bene sapere che la villocentesi, se eseguita prima del tempo stabilito, può provocare problemi nella crescita degli arti del bambino.
Può capitare che a volte i tessuti placentari contengano dei mosaicismi cromosomici e suggerire ai medici la presenza di anomalie che in realtà non ci sono; solitamente in questa situazione viene consigliata un’amniocentesi da eseguirsi in data successiva per l’eventuale conferma dei risultati.